Speleo Club Ribaldone - Genova

Gruppo speleologico fondato nel 1970

Grotta della Briga go on

L'armo della Risalita  


Resoconto Grotta della Briga 9/1/2022 
Partecipanti Alessandro Vernassa, Alessandro Maifredi, Marco Corvi, Marina Abisso

Entriamo alle ore10:00, spinti dai 3 gradi di temperatura esterna. 
Alessandro M. e Marco si dirigono alla risalita C20 finale (che è poi una C30) per finire di armarla oltre il terrazzo, Alex V. e Marina seguono a ruota, verificando lungo il percorso la presenza di eventuali prosecuzioni/meandri che possano condurre verso la Priamara.
Tralasciamo la verifica del livello di CO2 (livello che, dove ci siamo fermati a lungo, appare comunque accettabile, poiché non avvertiamo fastidi).
Dal basso giungono echi di rassicuranti spezzoni di conversazioni tra Alessandro M e Marco: “Come te la cavi con il pendolo? Grazie, faccio il bocia”, “Tranquillo: hai una lama sotto i piedi”, “Mancano i fix, ma vieni pure in doppia togliendo gli altri”.
Ogni tanto vola una pietra, ma niente di umano.
In alto, verso la metà della risalita, Marco raggiunge una nicchia molto concrezionata: da rilevare. Prosegue ancora in alto, per aspera ad astra, fino all’ultimo mozzicone di corda, poi pronuncia una delle due frasi (l’altra è “Tira aria”) identitarie dello speleologo: “C’è del nero”. Il nero è sopra, ma occorrono altre corde per proseguire. 
In cima alla risalita permane un traverso su sei fix (almeno un paio poco affidabili). Sulla risalita ci sono altri tre frazionamenti. La risalita prosegue sopra il traverso, ancora abbastanza
Da esplorare anche, dalla parte opposta al terrazzo di partenza dell’armo odierno, una finestra tra le colate di concrezioni, dalla quale potrebbero essere caduti giù i piccoli frammenti legnosi rinvenuti alla base.
Alessandro V. e Marina intanto si incattiviscono con demolitore, mazzetta e palanchino sui massi incastrati: con azione combinata ad impulsi a 4, la disostruzione ad impulsi si conclude e la strettoia mangiacaschi diventa accessibile, Sotto, rileviamo una condotta fangosa e concrezionata di due/tre metri che scende nella direzione corretta: proseguirebbe, ma stringe in fondo. Poca aria.
Lasciamo in grotta un cordino da 5 m, una mazzetta, un palanchino e una punta da disostruzione per chi verrà successivamente.
Usciamo a rate dalle 18 alle 19:00, più agevolmente delle volte precedenti.


Aggiungo una considerazione di Corvi (che ha revisionato il testo precedente): in alto, c'è ancora da fare questo: andare su con una corda da 20 e qualche attacco e continuare fino a raggiungere il "nero", poi armare la via in discesa (e recuperare gli attacchi).

 

E un'appendice notturna di Alessandro Maifredi:

“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” e forse è per quello che “come bruti” ci ostiniamo a farci delle piste di polvere (marrone, purtroppo) in entrata e in uscita, aerosol di CO2 gratis, anche perché se ci pagasse qualcuno, questo qualcuno, in quanto datore di lavoro, andrebbe dritto in galera senza passare dal “Via”.

In meno di un mese la Priamara e la Briga non avevano mai visto tanti speleo. Mai.

E’ un buon segno e se si gioca d’astuzia, forse ci scappa qualche giunzionella, o di qua o di là…

Altre interessanti perle ci sono da scoprire nel Finalese, date retta all’anziano, Egli sa.

 

Premetto che in quasi tutta la grotta dire che la roccia fa schifo è farle un complimento.

Anche per questo, nonostante la mostruosa menata della messa in opera, prediligo i “multi monti” ai chiodi ad espansione per alcuni validi motivi, non a caso.

Per chi non li avesse mai provati vi invito a farlo. Il principio è quello della vite da legno nel mobile ikea.

Per quanto faccia pena il legno sfido chiunque a tirarla via facilmente. Lo stesso vale per la vite da roccia. Lavora su tutto il filetto che è ben ben più lungo e ampio della piccola area dell’espansione di un fix. Non verrà mai via (credo io).

Trovandomi ad essere fortunato possessore di un bel po’ di questi chiodi (li vendono, come dice Repetto), li abbiamo usati qua e là lungo la grotta e nella discesa del P20, da 6 da 8 e da 10 mm di diametro, fino a 15 cm di lunghezza, piantati con le punte da manzi in roccia di qualità infima. Nonostante ciò, sono convinto che ci si possa appendere un Tir.

 

Detto ciò, aggiungerei la mia versione dei fatti:

mi ero ripromesso di non tornare, ma il “mini” pozzo margaureisano ha avuto la meglio.

Il gruppo è ristretto, ma trainato da un Corvi 4x4 che scalpita per risalire.

Ovviamente, nonostante le mie convinzioni, non ho dietro i miei amati multimonti.

Marco è bello convinto e attrezzato con fix. Mi sembra carico e nonostante il suo gentile invito a far la risalita lo ringrazio e mi propongo come umile “bocia”. D’altra parte se “nomina sunt consequentia rerum”, le ali ce l’ha lui, non io.

Mi trascino verso la fantomatica risalita sempre dubbioso sui fix. Mezza risalita è già stata fatta da Marco la volta scorsa, si tratta di continuarla.

Saliamo agli ultimi chiodi e da lì Marco sale come un gatto su roba che sembra la pubblicità del Tronky “fuori croccantissimo, dentro morbidissimo”.

“Se tiene qualche minuto riesco a metterne un altro”. Incoraggiante, vale anche per quello dopo e quello dopo ancora. Infatti in un lampo ha raggiunto la cima.

Quasi quasi speravo in una ermetica chiusura o qualche pertugio con l’odore dell’esterno… invece no, tocca salire su un fix, forse l’unico sulla croccantissima crosta di concrezione, e un bel naturale.

Si riparte, il “bocia” si riposiziona e l’uomo ragno riprende a lanciare le sue ragnatele penzolando tra un naturale e un fix marcio, fino all’ultimo chiodo, dopo aver tolto la corda da sotto e un buon 50% dei fix messi. Via di fuga negata, almeno temporaneamente. Ma è tutto calcolato, disarmando qua e là e soprattutto Il Naturale (l’unico elemento che mi garantiva un po’ di tranquillità) si recupera corda q.b. per raggiungere giusti giusti il chiodo in basso e ricongiungerci alle corde a metà pozzo.

Nel marasma di corde che sembrava la tela di un ragno drogato ho persino offerto una cena a Marco se mi avesse riportato con i piedi per terra.

Bè, lo ha fatto, tocca sdebitarmi!

Nel frattempo il buon Vernassa e Marina, con accanimento terapeutico, hanno allargato una frattura promettente come direzione, meno come dimensioni. Diamo un po’ il cambio. Poco contributo, ammetto, da parte mia. Mi sentivo molto il classico pensionato affacciato sul cantiere a dar consigli su quale spuntone limare, pensando che prima o poi rischia di dovercisi infilare anche lui…

La cosa positiva è che mi ha fatto davvero piacere, in queste ben tre mie uscite, andare in grotta con gente per me “nuova”, quella negativa è che mi tocca lavare la roba!

 




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